Progettare? Ormai non ci fa nè caldo nè freddo!

progettare caldo freddo
Dopo il progressivo allontanamento dai temi ambientali, il progetto sta tornando indietro?

Scrivo questo post nella veranda, tutta vetrata, di un hotel sulle Dolomiti. Intorno a me tutto completamente imbiancato da una neve caduta copiosa per giorni, dentro un tepore e un comfort difficili da trovare in ambienti con climi anche meno aspri. Tutte le volte che mi trovo da queste parti è inevitabile pensare a come qui abbiano saputo mantenere un rapporto di assoluto equilibrio tra ambiente naturale, ambiente costruito e uomo.

Certamente anche qui l’edilizia ha proliferato e le valli sono molto più abitate rispetto a quanto si vede nelle foto d’epoca, anche solo di 50 anni fa. Gli insediamenti si sono coagulati lungo le grandi strade di comunicazione che, appunto, scorrono nei fondovalle, sfruttando lo spazio creato dai fiumi, con i loro sedimenti, trascinati giù dalle montagne. Tuttavia risulta difficile parlare di cementificazione selvaggia, non solo perché il materiale più usato per costruire gli edifici è il legno, ma anche perché le tipologie costruttive, le dimensioni, gli elementi caratterizzanti l’architettura, hanno subito sì l’evoluzione e l’innovazione tecnologica ma senza perdere la continuità con la tradizione. Non c’è stata la cesura con il passato, non è stato rinnegato come nella maggior parte dei nostri territori. Le famiglie vivono ancora il solido rapporto generazionale di coabitazione tra nonno, figlio e nipote, spesso in contesti rurali, con tanto di stalla e animali al pascolo, con le relative produzioni di latte, formaggi, yogurt, cereali, farina, pane… a cui si aggiungono i frutti raccolti nel bosco, come fragole, mirtilli, lamponi, castagne, ecc…

Una linea che unisce passato, presente e futuro e che rende queste comunità solide e ricche di valori, non solo economici.

Una delle ragioni principali di questa continuità è la regola del Maso indiviso. Il maso, che potremmo definire la fattoria delle Alpi, è sempre stato ceduto in eredità al primo figlio maschio di casa, e non è mai stato diviso in parti uguali tra gli eredi aventi diritto. Questo ha fatto sì che la struttura abbia mantenuto la dimensione giusta per essere sostenibile. Il numero di capi di bestiame era commisurato alle esigenze della famiglia e così l’estensione dei pascoli, e la dimensione dei fabbricati, residenziali e annessi agricoli. L’attività rimaneva garantita nella sua redditività e dava continuità ad una parte della famiglia. Così anche il territorio è salvo e non cade nelle tentazioni della speculazione o della produzione agricola e zootecnica industriale. Ecco perché le caratteristiche ambientali, paesaggistiche e culturali sono così ben conservate e valorizzate!

Ovviamente le attività non sono rimaste quelle del secolo scorso ma sono state affiancate da altre, principalmente dal turismo, che ha portato alla costruzione di alberghi, ristoranti, impianti per gli sport invernali, strade… che ovviamente un impatto ce l’hanno ma è sostenibile, per l’ambiente e per gli umani.

Ma torniamo al progetto degli edifici che, per necessità non per moda, ha sempre tenuto e tiene conto di alcuni principi fondamentali che, troppo spesso, sono stati dimenticati dai progettisti, ebbri di immagini autoreferenziali da riviste patinate.

Innanzitutto l’uso razionale delle risorse disponibili in loco. Non per snobismo o sensibilità verso l’ambiente, o almeno non solo per quello, ma per la difficoltà e i costi legati all’approvvigionamento da luoghi lontani, vista la posizione geografica, l’orografia e la viabilità. Pertanto sono state affinate le conoscenze e le competenze nella lavorazione di materiali come la pietra e il legno. Quest’ultimo, pur avendo subito la naturale evoluzione verso il legno lamellare, i pannelli a strati incrociati (X-Lam) e altre innovazioni tecnologiche, non ha mai perso il legame con la tradizione e la sapienza antica. Il taglio degli alberi ad esempio viene eseguito nelle giuste fasi lunari, quando lo stato vegetativo della pianta è più “a riposo”, i tronchi tagliati vengono lasciati sui pendii, con la punta rivolta verso il basso e con i rami, in modo che la pianta, nell’estremo tentativo di sopravvivere al taglio, concentra la linfa verso le foglie e quindi proprio sui i rami e sulla punta. Risultato? qualche settimana dopo i rami e la punta vengono tagliati e il tronco ha un minore contenuto di linfa, pertanto la stagionatura sarà più rapida.

Non è raro inoltre vedere l’impiego del legno massello perchè gli alberi ad alta quota (sopra i 2000 m s.l.m.) hanno una crescita lenta e lo spazio tra gli anelli di accrescimento è molto inferiore rispetto a quello degli alberi cresciuti a bassa quota, con la conseguenza di avere molte più fibre “dure” rispetto a interstizi “teneri”. Questo significa maggiore stabilità e bassissime variazioni dimensionali dovute a temperatura e umidità.

Potrei continuare con altri esempi, su come orientare gli elementi costruttivi in legno rispetto all’andamento delle fibre, ad esempio per realizzare la balaustra di un terrazzo in modo che l’acqua meteorica non vi ristagni, limitandone la durata, e altri accorgimenti frutto del sapere tramandato tra le generazioni, ma occorrerebbe troppo spazio. Forse un giorno scriverò un breve e-book per i più curiosi e interessati.

Il secondo criterio progettuale ricorrente è il corretto rapporto con il clima. Le basse temperature invernali, la minore disponibilità di radiazione solare, i costi del combustibile per produrre energia termica (la legna va tagliata, trasportata, stoccata e maneggiata con fatica; il gas di rete richiede ingenti investimenti per la realizzazione e la manutenzione delle reti appunto, lo stesso vale per l’energia elettrica) hanno fatto sì che gli edifici fossero ben isolati termicamente in modo da avere bassi fabbisogni di energia nel corso della loro vita utile. In questo, il legno e i semilavorati legnosi (fibra di legno, lana di legno) l’hanno fatta da padroni per secoli, insieme alla lana di pecora non adatta all’uso tessile. A questi si sono poi aggiunti negli anni le fibre minerali (lana di vetro o di roccia) e gli isolanti sintetici (poliuretani, polistireni ecc…).

Se ci fermiamo a riflettere su come si è evoluto l’involucro che racchiude i nostri spazi abitativi e di vita in generale, notiamo come le innovazioni tecnologiche abbiano portato dal muro in pietra spesso anche un metro, al tamponamento in laterizio da 25 cm (grazie alle strutture portanti in cemento armato) fino alla parete di vetro dei grattacieli americani. La progressiva smaterializzazione della frontiera tra interno ed esterno ha richiesto ingenti quantità di energia per riscaldare in inverno e raffrescare in estate, avendo perso il muro ogni funzione di protezione e controllo climatico. Questo ha portato a tutto quello che vediamo in termini di guerra per l’approvvigionamento delle fonti di energia, guerra purtroppo spesso non solo economica! E il massimo del paradosso lo si raggiunge quando si vedono le torri di vetro anche nei paesi a clima arido, come gli Emirati Arabi, in cui d’estate la temperatura non scende mai sotto i 26°C, neanche di notte!

Risultato? edifici che spendono, nel corso della loro vita, più di quanto sono costati per essere climatizzati, illuminati e per essere perfettamente funzionali!

Che fare allora?

Per fortuna molti ci stanno pensando da anni e molti altri cominciano a pensarci sul serio. Una delle strade possibili, secondo me la più efficace, è quella di guardarsi indietro per andare avanti. Diventare tutti dei Giano bifronte che studiano i sistemi e le tecniche passive adottate nel passato, quando non esistevano gli impianti e la disponibilità di energia era limitata, per reinterpretarli e adattarli ai nostri tempi, alle nostre esigenze e ai nostri livelli di qualità della vita attesa. Eh sì, perché non si può semplicemente tornare indietro. Nessuno lo farebbe mai, a meno di non esservi costretto.

Riacquisire le conoscenze e le competenze, ma direi la sensibilità, delle generazioni che ci hanno preceduto significherebbe recuperare sistemi che migliorerebbero le prestazioni dell’edificio senza incidere sui suoi costi di costruzione ma riducendo fortemente quelli di gestione.

Progettare un aggetto su una finestra esposta a sud, ben dimensionato, consente di avere le finestra esposta al sole basso in inverno, con conseguenti guadagni energetici, e in ombra rispetto al sole alto d’estate. Questo è solo un banalissimo esempio ma ne potrei fare tantissimi altri. Anche qui forse potrei scrivere una mini-guida nel prossimo futuro.

Concludo con un dato numerico che rende bene l’idea dei valori economici in gioco. Uno studio del Politecnico di Milano ha dimostrato che una casa in classe energetica G (la peggiore) spende in energia in 10 anni (le bollette) il 25% del suo valore, mentre la stessa casa in classe energetica A, la migliore, spende lo 0,8% del suo valore per le bollette, sempre in 10 anni.

Meditate gente… meditate…

 

p.s.: e.r.g.o. è l’acronimo del mio nuovo essere digitale e significa egidio raimondi green optimizer… quello che faccio lo spiego nelle sezioni del blog e nei prossimi post!

Se non vuoi aspettare e hai qualcosa di urgente di cui chiedermi non esitare a contattarmi scrivendomi a egidio@egidioraimondi.com oppure lascia un commento qui sotto.

 

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