Alla Degenerazione Urbana si risponde con la Rigenerazione Umana

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Un gioco di parole per affermare l’urgenza di rimettere l’uomo al centro del processo di produzione degli spazi di vita.

Il 28 febbraio scorso ho partecipato all’inaugurazione della mostra Lucien Kroll, tutto è paesaggio, un’architettura abitata, allestita a cura di Vittfrida Mitterer e Patrizia Colletta presso la Casa dell’Architettura di Roma.  Organizzata dalla Fondazione Bioarchitettura, in collaborazione con Casa dell’Architettura di Roma, Citè de l’Architecture et du patrimonio di Parigi e Ordine degli Architetti PPC di Roma, sarà visitabile fino al 16 marzo prossimo.

Ho conosciuto Lucien Kroll nei primi anni del 2000, in occasione del Master in Bioarchitettura che frequentai tra Bologna e Roma, sotto la guida entusiasmante del compianto Ugo Sasso e, ogni volta che passa da queste parti, corro a salutarlo e ringraziarlo per essere stato uno dei maestri che hanno cambiato il mio modo di vedere l’architettura, la società, la vita.

Lucien Kroll ti affascina mostrandoti immagini di affollate riunioni in cui gli abitanti dei grand-ensemble, nella banlieue di una qualsivoglia metropoli francese, partecipano alla progettazione attiva dei loro spazi di vita e di relazione. Una cosa assolutamente straordinaria per noi che siamo abituati a “sanguinose” assemblee condominiali che non portano a nulla o, al massimo, a sofferte decisioni a colpi di maggioranze sulle quote millesimali di proprietà. E lui con leggerezza, usando pezzi di gommapiuma e di cartone, pennarelli e matite e forbici, aiuta queste persone a ritrovarsi e ad esprimere le loro vere istanze, i loro bisogni e i loro sogni, affinché il progettista possa accoglierli tra gli input di progetto e immaginare un’opera che possa essere sentita propria e “amata” da coloro che la vivranno. Purtroppo ancora assistiamo a dibattiti in cui progettisti, persino accademici, si oppongono alla progettazione partecipata sostenendo che il progetto lo deve fare il progettista. Quanta superficialità e quanta miopia….

La grande conoscenza e il profondo rispetto per la società porta Kroll a criticare e smontare le simmetrie, le regole rigide, le forme immutabili e indifferenziate che portano a spazi urbani e architetture totalizzanti e militari, fondamentalmente ostili per chi le deve vivere. I suoi progetti mirano a rompere la linearità, a creare spazi frammentati e differenziati, apparentemente spontanei e casuali, colorati, frastagliati, capaci di dare emozioni disvelando scorci sempre nuovi ed evitando la ripetitività seriale e la monotonia. Si creano così spazi la cui definizione e destinazione d’uso sono mutevoli nel tempo, consentono varie interpretazioni e declinazioni, per adattamenti, rimaneggiamenti, modifiche…. In una parola ciò che accade nei centri storici delle città antiche!

Quei centri storici che, a causa di errate politiche amministrative e assenza di visione strategica, si sono svuotati progressivamente negli anni per poi vederseli apparire, falsi e ricostruiti in improbabili simulazioni al vero, nei centri commerciali. Perché alla fine è quello il tipo di spazio che le persone vogliono!

Ma il paradosso rimane: si abbandonano i centri storici autentici e si ricostruiscono le loro copie, i loro simulacri, nei nuovi spazi di aggregazione, i centri commerciali….

Ecco, questa per me è la Degenerazione Urbana e, aggiungerei, territoriale a cui stiamo assistendo da decenni, senza riuscire ad invertire il trend e pagando prezzi carissimi in termini qualità ambientale e sociale dei territori.

La risposta di Kroll alla città indifferenziata, anonima, rigida, fredda, alienante, a tratti invivibile è…. l’Umanizzazione. Un processo di partecipazione alle scelte, di riappropriazione degli spazi, di trasformazione attiva di essi, di personalizzazione, di azioni spontanee che fanno di una città una comunità e non un insieme di strade ed edifici.

Una delle frasi che Kroll ripete spesso è: “non esiste architettura senza le persone”. E la dimostrazione più riuscita di questo assunto Kroll la dette in occasione di un’edizione, non ricordo quale, della Biennale di Architettura di Venezia. Io ed alcuni amici andammo a visitare la biennale e ad incontrare Lucien Kroll che, insieme ad Ugo Sasso, avrebbe dato vita ad un dibattito estemporaneo. Il tutto si svolgeva nel padiglione belga nei giardini della Biennale.

Ebbene Kroll, che era stato incaricato dell’allestimento, aveva superato se stesso. Aveva preso una ventina di studenti dei suoi corsi, li aveva messi al lavoro per costruire strutture in tubi innocenti e pannelli un’impalcatura che attraversava tutto il padiglione e ospitava una grande cucina e tavoli da pranzo al piano terra, camere da letto e spazi di relazione e relax agli impalcati superiori, fino ad arrivare ad una piattaforma belvedere che sbucava dal tetto del padiglione e spaziava a 360 gradi su tutta l’area dell’esposizione. Ma la cosa straordinaria era che quegli studenti vissero nel padiglione belga per tutta la durata della Biennale. Kroll aveva creato l’architettura abitata!!!

All’architettura mancavano le persone e lui ce le aveva messe, con un’operazione di una forza straordinaria per tutti coloro che, come me, avessero avuto l’opportunità di vivere quell’esperienza anche solo per poche ore. Parlammo di architettura e del suo equilibrio con l’ambiente e con l’uomo, mangiando insalata fatta al momento dagli studenti che ci ospitavano, lì insieme a noi, e bevendo vino appena spillato da damigiane ben posizionate sulle impalcature. Indimenticabile!

Il valore che emerse quel giorno fu il senso di comunità che si respirava e che faceva di un edificio statico e neutro, concepito per esporre qualcosa, un edificio vivo e pieno di energia positiva. Era quello stesso senso di comunità che si respira nei borghi, nelle piazzette, nelle unità di vicinato, così frequenti e “normali” prima che arrivasse l’architettura seriale e l’edilizia industrializzata a standardizzare e omogeneizzare tutto, togliendo identità ai luoghi e rendendoli anonimi.

È da qui che bisogna ripartire per “riparare all’errore” (altra espressione di Kroll) e per recuperare quei valori sociali e umani su cui si basa la vita di una città, concepita come organismo vivente e vivibile. Insieme di vite e di relazioni umane e non cumuli di edifici, stanze e non metri cubi, spazi e non standard urbanistici… Si deve ripartire dalle persone, dal restituire loro dignità e identità perdute, facendole sentire esseri unici e non numeri su una planimetria catastale, portatori di idee e non quote millesimali…..

Ecco cosa intendo come Rigenerazione Umana ed è questo il compito delle future generazioni che vorranno migliorare la qualità della vita nelle città. Non penso solo agli architetti-urbanisti ma anche agli amministratori, ai produttori di materiali e componenti per l’edilizia, l’arredo urbano e le infrastrutture, agli operatori finanziari, alle istituzioni culturali, agli stessi cittadini, singolarmente o in forme organizzate di associazionismo attivo.

Il lavoro da fare è tanto e complesso, la strada lunga e tortuosa ma, per chiudere con l’ennesima frase di Lucien Kroll, A camminare di impara… camminando!

Bon Voyage!

p.s.: e.r.g.o. è l’acronimo del mio nuovo essere digitale e significa egidio raimondi green optimizer… quello che faccio lo spiego nelle sezioni del blog e nei prossimi post!

Se non vuoi aspettare e hai qualcosa di urgente di cui chiedermi non esitare a contattarmi scrivendomi a egidio@egidioraimondi.com oppure lascia un commento qui sotto.

2 Comments

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    Giovanni Galanti
    10/03/2018 at 01:12 — Reply

    Bellissime riflessioni le tue, mi aiutano come se ci avessi partecipato anche io. L’architettura serbbe per la gente, e la gente vuole ritagliarsi il suo spazio per la progettazione. In Italia, ciò accade normalmente senza il ricorso all’architetto, come ben sappiamo. Almeno sui grandi numeri.

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    Egidio Raimondi
    10/03/2018 at 15:43 — Reply

    Purtroppo l’architetto ha abdicato al suo ruolo da troppi anni ormai, dopo una stagione in cui pretendeva di essere demiurgo e progettava i Corviale, Secondigliano ecc…Non ha avuto vie di mezzo. Se a questo aggiungi che la ricerca della BioArchitettura negli esempi virtuosi del passato ha portato alla ribalta tante architetture
    Senza Architetti che funzionano, il gioco è fatto. Ma è chiaro che non possiamo rassegnarci ed estinguerci. Occorre rivedere e aggiornare il nostro ruolo, le nostre competenze e orientare la professione laddove si intravede un bisogno di progetto.

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