Il Fotovoltaico è “bruciato”?

Considerazioni su una tecnologia che sembra esaurita ma ha ancora tanto sviluppo davanti

La stagione del fotovoltaico in Italia ha inizio nei primi anni Duemila con la campagna di incentivazione dello Stato, chiamata Diecimila tetti fotovoltaici, avviata nel 2001 dal Ministero dell’Ambiente. Poiché i costi erano molto elevati (7.500,00 € per ogni Kilowatt installato) lo Stato finanziava, a fondo perduto, il 75% dell’investimento, per una potenza massima ammissibile calcolata sui consumi degli ultimi tre anni.

L’incentivo era limitato agli impianti di piccola taglia, fino a 20 Kilowatt di potenza, ed era concesso a chi, presentata la domanda e ottenutane l’approvazione, realizzasse l’impianto in un termine prestabilito.

La misura ebbe un successo relativo dato che si trattava della prima iniziativa del genere in Italia, mentre in Germania avevano già lo strumento che poi arriverà da noi nel 2007, il Conto Energia.

La differenza tra i due sistemi è sostanziale.:

Con il metodo all’italiana lo Stato eroga tanto denaro ma il cittadino non può realizzare un impianto della dimensione che desidera, deve calibrarlo sui suoi consumi. 

Con il metodo alla tedesca lo Stato non finanzia l’impianto ma premia il cittadino in base alla quantità di energia pulita che produce e quindi non da limiti alla dimensione dell’impianto, che può diventare anche strumento di un’attività imprenditoriale.

Con l’interesse dello Stato per il fotovoltaico cominciano a nascere in Italia diverse aziende che vedono possibilità di business nella tecnologia innovativa, soprattutto in virtù della promessa che anche noi avremmo adottato il modello tedesco.

Ma, come spesso accade nel nostro Paese, le legge rimane ferma all’allora Ministero del Tesoro per stabilire le tariffe incentivanti, cioè quanto sarebbe stata pagata l’energia al cittadino che l’avrebbe prodotta con tecnologia fotovoltaica. Nell’attesa molte aziende, che inizialmente stentano producendo solo per i mercati esteri, chiudono i battenti e nel 2007, quando la legge diventa operante, la maggiorparte del mercato è una prateria appannaggio delle aziende e degli investitori esteri.

Infatti il Decreto denominato Conto Energia rende l’Italia il Paese più incentivante in materia di fotovoltaico e, fino al 2012, anno in cui verrà definitivamente abolito ogni incentivo, imprenditori, fondi di investimento di varia natura e speculatori d’assalto, invadono letteralmente il nostro territorio con l’intento di dipingere di blu le nostre colline e… in alcuni casi ci riescono!

È un vero peccato perché l’intento del legislatore era diverso, e lo si evince chiaramente guardando le tariffe incentivanti che, secondo una matrice a nove fattori, premiava molto di più chi realizzava un impianto di piccola taglia  (entro i 3 Kilowatt) e integrato architettonicamente rispetto a chi ne realizzava uno di grandi dimensioni (oltre 20 Kilowatt) e non integrato, come nel caso dei famigerati campi fotovoltaici.

Il meccanismo era semplice, e molto diverso dal precedente. In pratica lo Stato pagava l’energia prodotta da fotovoltaico molto di più di quanto il cittadino pagava l’energia presa dalla rete, e questo con due voci finanziarie a vantaggio del cittadino. Innanzitutto pagava un tot a Kilowattora prodotto dall’impianto, indipendentemente dal fatto che il cittadino lo avesse utilizzato direttamente o immesso in rete. Poi c’era il mancato prelievo di energia dalla rete perché il cittadino utilizzava quella che si produceva con il suo impianto, il cosiddetto autoconsumo. Il tutto era regolato da un regime detto di scambio sul posto per cui la bolletta elettrica era un conguaglio tra l’energia prelevata dalla rete (tipicamente per gli usi serali e notturni) e quella immessa durante il giorno (nelle ore di produzione).

La possibilità di effettuare lo scambio sul posto è stata la vera innovazione che ha dato impulso al fotovoltaico, avendo reso inutile lo stoccaggio con sistemi a batteria, costosi e poco affidabili nelle rese a lungo termine.

Il legislatore cercava di promuovere la microgenerazione diffusa piuttosto che i grandi impianti di tipo industriale, e aveva ragione perché in questo modo si sarebbe creata quella cultura diffusa capillarmente per la produzione di energia pulita e non si sarebbero avuti impatti paesaggistici, pericolosi per un contesto delicato come il nostro.

Inoltre la microgenerazione diffusa non necessita di opere di adeguamento della rete di distribuzione esistente che, come è noto, è concepita ad albero, con tratti che partono dalle centrali e trasportano energia ad alta tensione, poi si riducono per trasportare la media tensione fino a giungere negli edifici di ciascuno di noi in bassa tensione, disponibile per gli usi finali.

Nel caso dei grandi impianti invece, molto spesso andava adeguata la rete di distribuzione che non era idonea a ricevere grosse quantità di energia dal ramo più piccolo verso il ramo più grosso!

Tuttavia, rendimenti finanziari intorno al 10-12% di un investimento, garantito dallo Stato e dal…Sole, hanno avuto un grande appeal per operatori finanziari che li paragonavano ai rendimenti ad alto rischio della Borsa o a quelli a lungo termine del mattone. E così abbiamo subito una vera e propria invasione da parte di player esteri, rallentata solo dalla nostra ipertrofica burocrazia che, in molti casi, ha dissuaso anche i più agguerriti!

Un fenomeno molto particolare che si è delineato, soprattutto nelle campagne del Sud, è stato quello di tentare di convincere gli agricoltori a cedere in locazione terreni a società che vi avrebbero realizzato impianti, godendo degli incentivi per il perido ventennale previsto dalla legge, e vendendo anche l’energia prodotta, salvo cederne una quota all’azienda agricola stessa. Si sono venute a creare numerose situazioni in cui un agricoltore veniva a guadagnare decine di migliaia di euro all’anno senza nemmeno alzarsi la mattina per andare nei campi!

Le Amministrazioni locali sono corse ai ripari, per tutelare il paesaggio ma anche il tessuto socio-economico dei territori, ma con i loro tempi dilatati, approvando piani energetici regionali, piani paesaggistici e norme di salvaguardia.

Un fenomeno analogo, che non ha avuto bisogno di essere arginato, si è verificato nelle aree industriali, in cui molti capannoni sono stati letteralmente coperti da moduli fotovoltaici. Qui l’unico ostacolo è stata l’insicurezza degli imprenditori, troppo incerti del futuro della loro azienda per vincolarsi con un accordo ventennale. A differenza di ciò che accadeva per le aziende agricole, le industrie avevano grandi benefici dall’energia che veniva loro ceduta, proprio nei picchi di produzione (in pieno giorno) dato che coincidevano con i picchi di maggiore fabbisogno.

Al contrario dei grandi player, strutturati e organizzati con tutte le professionalità necessarie e i capitali a disposizione, il cittadino comune ha impiegato molto tempo, inizialmente per vincere la diffidenza verso una novità che sembrava fin troppo conveniente, poi per organizzarsi e capire come muoversi nella giungla burocratica e, infine, per trovare la sponda delle banche che, agli inizi, grottescamente, richiedevano denaro a garanzia (titoli o depositi vincolati) di pari importo rispetto a quello che avrebbero dovuto finanziare. Quando tutte le riserve furono sciolte e anche le banche erano pronte a finanziare gli interventi di piccola entità dei privati, l’incentivo era esaurito perché aveva fatto il suo corso!

Sì perché lo scopo di un incentivo è quello di mettere in moto un meccanismo, di dargli l’avvio per poi terminare quando il meccanismo è giunto a regime.

Nel caso del fotovoltaico, quando si è affacciato sul mercato costava 7.500,00 € per ogni Kilowatt installato, mentre oggi costa meno di 2.000,00 €. Quindi si tratta ormai di una tecnologia dai costi accessibili che si ammortizzano in pochi anni solo con l’energia prodotta, senza bisogno di incentivi. Alle latitudini del Sud Italia si raggiunge addirittura quella che viene definita Grid Parity, cioè si produce tanta energia quanta se ne consuma.

Alla domanda iniziale che da il titolo a questo post allora, cosa possiamo rispondere? Ora che non abbiamo più gli incentivi, Il fotovoltaico è ancora conveniente o no?

La risposta è senz’altro che rimane conveniente ma con delle considerazioni fondamentali.

Poiché oggi l’energia immessa in rete viene pagata molto poco, occorre dimensionare l’impianto in modo che la quasi totalità dell’energia prodotta venga utilizzata direttamente, riducendo al minimo quella immessa in rete. Per far questo occorre un’attenta analisi dei fabbisogni energetici durante le ore diurne e, possibilmente, cambiare gli stili di vita in modo da trasferirvi alcuni consumi che sono tipicamente serali. Giusto per fare un esempio, lavatrici e lavastoviglie devono essere programmate perché operino di giorno, invertendo le abitudini che ce le hanno fatte spostare nelle ore notturne, per sfruttare le tariffe agevolate.

Appare evidente come un simile impianto sia particolarmente vantaggioso per le aziende, gli uffici e tutte le altre attività che vedono i maggiori assorbimenti durante il giorno, così come accade per gli impianti di climatizzazione a pompa di calore alimentati elettricamente, e così via.

Con lo sviluppo della ricerca e i progressi nella produzione dei sistemi di accumulo, una simile accortezza potrebbe non essere più necessaria dato che l’energia verrebbe immagazzinata e utilizzata quando serve. Ad oggi esistono già dei kit a prezzi accessibili ma i margini di miglioramento sono ancora ampi, così come lo sono per le celle che captano la radiazione solare e la convertono in energia elettrica. 

Nei prossimi post spiegherò come funziona questa straordinaria tecnologia, parlerò delle tipologie di impianto sul mercato, darò consigli utili per scegliere quella più adatta alle esigenze di ciascuno, parlerò di alcune forme di agevolazione fiscale ancora in essere e delle prospettive di sviluppo di questa tecnologia che, pur essendo stata messa a punto da decenni, ha ancora una lunga strada davanti a sè. 

Questo è uno di quei casi in cui possiamo dire che il bello deve ancora venire!

                                   e.r.g.o.

p.s.: e.r.g.o. è l’acronimo del mio nuovo essere digitale e significa egidio raimondi green optimizer… quello che faccio lo spiego nelle sezioni del blog e nei prossimi post!

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