Perchè un edificio è come un organismo vivente
Ho sempre pensato che il nostro mondo può essere ricondotto a pochi fondamentali modelli, che ne facilitano la comprensione e suggeriscono metodologie e strategie di evoluzione e sviluppo, oltre che di cura e salvaguardia.
E’ ormai opinione diffusa che la città possa essere considerata un organismo vivente, e la cosa è molto facile da argomentare.
Le strade, che spesso si chiamano proprio arterie, garantiscono i flussi di persone e merci, e quindi di quelle sostanze nutrienti che alimentano l’organismo, proprio come accade nel sangue.
Le reti di trasporto e trasmissione delle informazioni possono essere paragonate senza alcuna incertezza al sistema nervoso di un organismo vivente. Lo stesso vale per le reti di distribuzione dell’energia elettrica.
Per quanto riguarda invece le reti di distribuzione di gas e acqua, altro non sono che il nostro apparato digerente, che si completa con le reti di smaltimento dei rifiuti e dei reflui, siano essi solidi, liquidi o gassosi.
Gli edifici possono essere paragonati alle cellule che si riproducono moltiplicandosi rapidamente, dando luogo alla crescita dell’organismo e alla sua rigenerazione.
I parchi e le aree verdi sono i polmoni che danno ossigeno a tutto il sistema.
Spingendo oltre la similitudine, si può arrivare ad individuare le stesse patologie che affliggono la vita degli organismi viventi.
E così, il traffico diventa il colesterolo che intasa le arterie, lo sprawl urbano è la metastasi cancerogena che cresce fuori controllo, le discariche sono accumulo di scorie che possono infettarsi pericolosamente, l’inquinamento dell’aria è la causa di danni all’apparato respiratorio, come nel caso di un fumatore incallito…
Quindi alla città può venire a mancare l’energia per vivere in salute, per carenza di risorse preziose e vitali come il suolo, il verde, l’aria e l’acqua pulita, gli spazi, le infrastrutture…
Scendendo di scala arriviamo all’edificio.
Applicando la stessa similitudine, troviamo le parti strutturali che sono lo scheletro (quello in cemento armato spesso lo si chiama proprio scheletro), poi abbiamo i muri di tamponamento e cioè i nostri tessuti muscolari, sempre più spesso rivestiti con cappotti di isolamento termico, uno strato di “grasso” sottocutaneo, poi abbiamo gli intonaci, i rivestimenti e le finiture che altro non sono che la pelle dell’edificio.
Se pensiamo agli impianti, abbiamo di nuovo il sistema nervoso (impianto elettrico e domotico), l’apparato digerente (caldaia e impianto termico), l’apparato circolatorio (idrosanitario).
Le finestre sono occhi, naso e bocca dato che consentono di vedere all’esterno e “respirare” attraverso la ventilazione.
Come in un organismo vivente, affichè un edificio goda di buona salute, occorre che ogni sua parte sia mantenuta in perfetta efficienza, con analisi e check-up periodici (verifiche, assistenze ed ispezioni), allenamenti ed esercizio (manutenzioni ordinarie), interventi chirurgici (ristrutturazioni e restauri).
Questi interventi e queste buone abitudini varieranno in frequenza ed intensità in modo proporzionale alla vita dell’edificio. Un organismo giovane cresce senza aver bisogno di particolare supporto, mentre uno più agè merita maggiore attenzione e cura, fino ad arrivare alla sostituzione di parti ammalorate.
Poi ci sono i traumi da incidenti, che necessitano di grandi interventi e terapie invasive.
I terremoti, le alluvioni, le frane, le eruzioni vulcaniche, gli attentati terroristici, gli atti vandalici, gli incidenti stradali e ferroviari, i blackout, il crollo di edifici o ponti…
Infine c’è l’errore del “medico” che è intervenuto sull’organismo e la trascuratezza nel tempo dovuta alla superficiale sottovalutazione di segnali premonitori.
Ma qual è il messaggio che si ricava dal considerare valido e plausibile questo paragone?
Che per intervenire su un organismo vivente bisogna avere un approccio sistemico e considerarlo non come una somma di parti distinte ma come un tutto in cui ogni singola parte è in stretta relazione con le altre. Dalla condizione di una parte dipende la condizione di tutte le altre e la qualità della vita, con le relative prestazioni, dell’organismo stesso.
Con questo bisogna accettare anche che, come tutti gli organismi viventi, anche questo possa un giorno morire, giungendo alla fine del suo ciclo di vita.
E qui si trova una delle più importanti novità, nell’approccio contemporaneo alla sostenibilità dello sviluppo degli edifici, delle città, dei territori… La possibilità di “riciclare” l’organismo a fine vita, facendolo rientrare nel ciclo naturale, in un processo circolare che considera quello che una volta era rifiuto, come risorsa per un altro processo con un altro ciclo vitale.
Per fare questo occorre predisporlo dall’inizio, rivedendo tutti i processi della filiera produttiva che genera edifici, città, territori, trasformandoli da lineari in circolari.
Molti di noi sanno come fare ma occorre aumentare la consapevolezza di massa su questi temi, diffondere il nuovo paradigma in maniera capillare, raggiungendo il maggior numero di persone, come se si trattasse della diffusione di un virus benefico, che possa aiutare a migliorare la qualità dei nostri edifici, delle nostre città e dei nostri territori, che si trovano a misurarsi con le importanti sfide epocali dei flussi migratori, dei cambiamenti climatici, dell’instabilità economica e geopolitica, della globalizzazione…
Fino ad ora in Italia di questi temi se ne è parlato e ampiamente dibattuto ma è giunta l’ora di passare dalla parole ai fatti, mettendo in campo azioni concrete, ognuno per le sue possibilità, il suo ruolo, le sue competenze, le sue responsabilità.
Dunque, buona vita a tutti!
e.r.g.o.
p.s.: e.r.g.o. è l’acronimo del mio nuovo essere digitale e significa egidio raimondi green optimizer… quello che faccio lo spiego nelle sezioni del blog e nei prossimi post!
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