Guest post di Alessio Mitola fotografo
E’ con grande piacere che ospito un articolo scritto dall’amico Alessio Mitola che, anni fa, fu mio allievo durante uno stage di Bioarchitettura. Guardando le sue foto, di architettura e non, si percepisce che ha una sensibilità oltre lo standard, che gli consente di cogliere sfumature e trasmettere emozioni valicando il confine tra il tecnico e l’artista.
Quando gli ho proposto di scrivere un articolo è stato un po’ titubante ma leggendolo ora posso dire che ci avevo visto giusto, e le riflessioni che fa sul comunicare l’architettura attraverso la fotografia rendono ancora più inspiegabile constatare che la stragrande maggioranza dei colleghi non si preoccupa più di tanto di questo aspetto.
Sono ancora più convinto che ogni architetto dovrebbe avere un rapporto di stretta sinergia con un fotografo, che valorizzerebbe il suo lavoro rendendolo più efficace in maniera esponenziale!
Ringrazio Alessio, vi auguro buona lettura e, come al solito, aspetto i vostri graditissimi commenti.
RIFLESSIONI DI ALESSIO MITOLA SUL POTERE COMUNICATIVO DELLA FOTOGRAFIA DI ARCHITETTURA.
Un tale Gio Ponti disse: “la fotografia è l’arte di vedere le immagini, la pittura è l’arte di crearle”. Senza scomodare il curriculum di Ponti, possiamo prendere per buona la citazione e chiederci: “l’architettura ha bisogno della fotografia?”
Occorre sicuramente fare qualche passettino indietro negli anni per comprendere cos’è e da dove viene questo bisogno, un bisogno reciproco se vogliamo essere sinceri. Il XX secolo ha visto crescere quello che per molti è uno dei cardini della cultura contemporanea, il movimento moderno. Un movimento non solo architettonico ma globale, capace di stravolgere ogni ambito, costruendo infrastrutture non solo fisiche ma anche e soprattutto culturali. Beatriz Colomina, storica dell’architettura, paragona la fotografia alla ferrovia come mezzo di diffusione della nuova architettura, un binario sicuro su cui far correre nuovi stili e conoscenze.
In questo fermento mondiale, le arti si appoggiano le une alle altre per sostenersi e crescere; tra queste l’architettura e la fotografia hanno legato sin da subito. Non sorprenderà notare quanto la documentazione fotografica abbia di fatto influito più di ogni altra cosa sull’esplosione, in tutto il mondo, dell’international style, un movimento che subisce i primi effetti della globalizzazione: come fa notare il critico d’arte Reyner Banham, quello moderno è il primo movimento basato quasi esclusivamente sulla documentazione fotografica, più che sull’ispezione diretta e sul rilievo. Un cambiamento abissale nel modo di vivere e studiare l’architettura.
Ai giorni nostri è inevitabile pensare alla miriade di immagini che ci circondano: Instagram, Pinterest e Google hanno cambiato drasticamente il modo di conoscere. Una conoscenza rapida, fin troppo veloce ed a volte superficiale, che riduce il tempo d’attenzione a pochi secondi. In questo panorama apparentemente apocalittico per la cultura, è bello notare come tutti possano essere fruitori dell’architettura. Aprendo pinterest, ad esempio, possiamo digitare “modern architecture” e ritrovarci sommersi da migliaia e migliaia di immagini (più o meno pertinenti) di stupende sale moderne.
Tanti colleghi fotografi credono che il potere della fotografia stia quindi svanendo: una fotografia distrutta, a colpi di hashtag, da rendering e realtà virtuali. Di fatto non è così: si potrebbe parlare al massimo
di un problema di ipertrofia dell’occhio, come scrive Marco Introini, causato dalla facilità di acquisizione d’immagini. Credo, in tutta sincerità, che la fotografia assuma ancora più valore ai nostri giorni, forse più di ieri.
Se nel secolo scorso è stata mezzo di catalogazione e comunicazione di nuovi stili, nuove prodezze tecniche e capacità, al giorno d’oggi la fotografia assume un altro ruolo: quello di testimonianza del reale. La nostra epoca è colma di rendering ormai vicini alla perfezione che, in maniera molto silenziosa, ampliano il divario tra realtà e finzione. Il rendering – la promessa di come sarà – è parte del processo progettuale, così come lo è il progetto esecutivo e, come tale, va apprezzato e mai demonizzato. La fotografia – la prova di com’è – è invece la sintesi finale di un’opera realizzata ed al suo massimo splendore, fortunatamente per noi fotografi d’architettura.
Al culmine del processo progettuale quindi, la fotografia documenta e diffonde l’immagine dell’edificio realizzato. Viene naturale, a questo punto, chiedersi se la fotografia rappresenti davvero il reale. La fotografia è sempre e comunque un’interpretazione, più o meno oggettiva, ma sempre personale.
Il fotografo, d’architettura in questo caso, sceglie cosa far vedere e cosa no, come in una sorta di omissione giustificata dal fine, un fine altissimo per dirla tutta. Riferendosi agli architetti, Paolo Monti diceva: “le mie fotografie fanno vedere ciò che loro hanno in mente”
Far vedere cos’hanno in mente non è facile, più che una capacità è una scommessa ogni giorno nuova. Capire un’architettura significa prima di tutto capire l’architetto, conoscerlo, studiarlo, guardare il suo lavoro cercando di entrare in sintonia con l’ambiente, scorgerne quel dettaglio, magari minuscolo, dal quale si riesce a comprendere un’intera opera. Si lavora come scultori, più che pittori, togliendo il superficiale, spostando con lo sguardo tutto ciò che nasconde; si ricerca un singolo dettaglio, una linea, un colore ripetuto, un’ossessione.
Abbiamo, come fotografi, l’onore di ridurre in poche immagini un intero progetto. Virgilio Vercelloni, in una lettera a Trussardi del 1990, parla di fotografia come mezzo di “elevata sintesi culturale e comunicativa dell’intero progetto”.
Comunichiamo e testimoniamo il reale attraverso scelte estremamente personali e soggettive, alla cui base però c’è l’elemento fisico, di cui le immagini prodotte saranno il documento. Un elemento fisico al suo massimo splendore, nella sua forma più pura ed assoluta, un momento irripetibile.
In fotografia di reportage questo momento è chiamato attimo fuggente, un attimo in cui tutto è dove deve essere: la luce, i colori, i materiali. Ogni architettura ha un suo attimo fuggente, un momento che non toglie valore a tutti gli altri istanti ma che raggiunge l’apice della perfezione.
Fotografare l’architettura significa cercare quell’attimo e riuscire a vedere l’immagine realizzata dall’architetto.
Alessio Mitola
e.r.g.o.
p.s.: e.r.g.o. è l’acronimo del mio nuovo essere digitale e significa egidio raimondi green optimizer… quello che faccio lo spiego nelle sezioni del blog e nei prossimi post!