Tempo di Muri

Il libro di Veronica Arpaia invita alla riflessione su un tema tanto mediatico quanto sottovalutato.

Il tema dei “muri” è oggi di estrema attualità e almeno due o tre volte la settimana ne sentiamo parlare nei notiziari nazionali, ne leggiamo sulla stampa e li incontriamo sui social network.

Costruire muri per rendere impenetrabili confini tra stati, per dividere territori, per affermare la propria forza contro i più deboli, per limitare la libertà altrui a vantaggio del proprio business… pare essere diventata la maggiore occupazione di molti leader politici, da Oriente ad Occidente, dall’antichità ai giorni nostri.

Anche il tema dell’ultima Biennale di Architettura di Venezia, il cui titolo era “Freespace”, in fondo parla di muri che rendono lo spazio meno libero per la fruizione dei cittadini del pianeta.

Lì si parlava non solo di muri fisici ma anche di muri immateriali, che impediscono il libero accesso alle risorse primarie come acqua ed energia.

Si parlava inoltre di muri sociali ed economici che impediscono ad alcuni di avere pari opportunità per vivere e per dare un senso alla propria vita. 

Si parlava di barriere economiche, orografiche, geografiche e tecnologiche che rendono molto diversi gli stili di vita nelle varie zone del pianeta.

Il padre di tutti i muri dal dopoguerra in Europa, il muro di Berlino, era smaterializzato e frammentato per essere usato come mero supporto su cui esporre i progetti di ricostruzione e rigenerazione della città simbolo della frattura e dei danni che un muro può fare.

Un po’ come nella copertina del libro in cui Banksy usa il muro come supporto per le sue opere così dense di significato e cos’ forti e provocatorie.

Per un architetto può essere interessante parlare di muri perchè, in fondo, è cio che aspira a costruire, ed è significativo che in questo libro si parli di muri da abbattere o che comunque non ci dovrebbero essere.

Può sembrare paradossale ma agli architetti non piaccino proprio tutti i muri e, proprio l’architetto che progettò l’edificio in cui ha sede l’Ordine degli Architetti  di Firenze nella seconda metà degli anni Trenta – Giovanni Michelucci – ha fatto della rinuncia ai muri uno dei caratteri distintivi della sua poetica.

Ricordo soltanto brevemente i tanti progetti in cui lasciava aperto, a disposizione della città, il piano terra degli edifici (sede della Cassa di Risparmio in via Bufalini, Poste di via Pietrapiana, Questa stessa Palazzina Reale) che poi sono stati puntualmente chiusi da chi lo ha seguito, con muri, porte o cancellate!

Un paio di anni fa la Fondazione Architetti Firenze ha organizzato alcune iniziative con la Fondazione Michelucci, importante partner culturale, che riguardavano il progetto degli spazi per gli ultimi, dai campi profughi alle carceri ed è stato ricordato come nel carcere di Sollicciano, i cui muri sono inclinati e aprono verso il cielo e la distribuzione è ad anfiteatro in modo che i reclusi possano guardarsi e comunicare dalle finestre con le sbarre, spesso appendendo striscioni…. in quel carcere Michelucci pensò, progettò e realizzò il giardino degli incontri.

Un luogo cioè in cui i reclusi potevano incontrare, ancora oggi incontrano, i loro familiari.

Un giardino al posto del classico parlatorio! un luogo in cui i figli possono giocare e gli affetti si possono abbracciare dimenticando per un momento la condizione triste in cui si vive, ricordando quanto bella è la libertà e quanto importante sia arrivarci avendo espiato la pena e pronti a ricominciare, piuttosto che abbrutiti e spesso più cattivi e disperati di quando ci si è entrati!

Ecco perchè a noi architetti interessa parlare di muri, di quanto siano anacronistici e dannosi per il mondo in cui viviamo, e riflettere su quanto possiamo fare noi quotidianamente, quando progettiamo edifici e città, quando scriviamo le norme per il governo del territorio, quando ne controlliamo l’attuazione ricordandoci del nostro ruolo sociale e politico, spesso sottovalutato.

Leggendo il libro si scopre che esistono molti più Muri di quelli che si conoscono dai media, che ovviamente concentrano la loro attenzione sui più eclatanti e i più “sbandierati” tipo quello “di Trump”.

Ma soprattutto si scopre che quello di Trump appunto, non è una sua esclusiva. E’ trasversale a più aministrazioni USA, compresa quella di Obama, che non ha tagliato il finanziamento alla sua costruzione mantenendo la linea dei predecessori e la continuità, pur non sbandierandola per opportunità politica, visto che gli argomenti su cui ha basato il suo consenso erano altri…..

I motivi per cui si costruiscono i muri, o per lo meno con cui li si giustificano, sono diversi e prevedono lo sbarramento di qualche flusso: la droga, i migranti, i profughi, le religioni….

Li si camuffano da “difensivi” pur essendo “offensivi” e di attacco. Le ragioni per cui si costruiscono, si chiede l’autrice, sono endogene o esogene? Si costruiscono per incapacità di gestire e risolvere fenomeni interni o per difendersi da quelli esterni? Per scoprirlo vi invito a leggere il libro.

Un leit-motiv che accomuna tutti i muri trattati è il ruolo di protagonista degli USA che sono impegnati su tutti i fronti.

In qualche modo, secondo me, questo può essere considerato attuazione di quella strategia che Naomi Klein definisce Shock Economy, secondo la quale si creano paure di invasioni e contaminazioni culturali, sociali, religiose, timori sulla sicurezza, ecc…

Bisogno di risposte verso pericoli di cui si aumenta la percezione, per poi rispondere con opere che hanno un peso consistente nei bilanci degli stati e delle lobbies industriali (cemento, acciaio, costruzioni, telecamere, elettronica, radaristica, sensoristica, sorveglianza armata, ecc…)

Da qui la domanda che nasce immediatamente spontanea: Conviene costruire i muri? e se sì a chi conviene e a chi nuoce? Con i muri si è ridotto il traffico di sostanze stupefacenti? si è risolto il problema dei flussi migratori? Di nuovo vi invito a leggere il libro ma l’impressione è che siano problemi che abbiano bisogno di essere affrontati ad un livello più alto e, soprattutto che richiedano politiche a lungo termine e di ampio respiro dato che si tratta, almeno per i flussi migratori, di un fenomeno epocale.

Altro elemento di riflessione è la constatazione che, dall’epoca della Guerra Fredda, si registra un incremento delle attività dei costruttori di muri. Sarebbe interessante e utile scoprire quali siano le ragioni vere dato che quelle “ufficiali” non appaiono così credibili.

Una delle risposte che siamo chiamati a dare, prima a noi stessi e poi agli altri, è alla domanda su come si possa pensare di conciliare l’apertura e la connessione planetaria portate dalla globalizzazione con il barricarsi in un microcosmo protetto da muri e impermeabile a tutto ciò che appare ostile, solo perchè alla fine non conosciuto.

E ancora, è possibile tentare un paragone con i muri della storia? Penso al Vallo di Adriano tra Inghiletrra a Scozia (da Vallo deriva Wall?), alle mura medievali, alla Muraglia Cinese….. Hanno degli aspetti comuni o sono in totale antitesi, considerando anche i diversi contesti storici?

Mi piacerebbe avere dei commenti da chi avesse avuto voglia e modo di leggere il libro, per avere un confronto su tutti questi temi interessanti.

                                 e.r.g.o.

p.s.: e.r.g.o. è l’acronimo del mio nuovo essere digitale e significa egidio raimondi green optimizer… quello che faccio lo spiego nelle sezioni del blog e nei prossimi post!

 

 

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