Riflessioni sul concetto di temporaneo.
La recente vicenda del sequestro del padiglione progettato da Stefano Boeri a Norcia basata tutta sul significato di “temporaneo” mi fornisce un assist per fare qualche riflessione su questo interessantissimo concetto. Aggiungere allo spazio, per sua natura tridimensionale, la quarta dimensione…., quella temporale, è cosa su cui si riflette da anni e su cui sono state svolte interessanti ricerche nelle aule delle università e diverse applicazioni, più o meno sperimentali, nell’amministrazione di alcune città.
Nel caso specifico di Norcia il “temporaneo” è legato al tempo che verrà impiegato per la ricostruzione delle aree distrutte dal sisma e quindi, pur non avendo letto le carte, mi avventuro nel giudicare l’intervento della magistratura come fuori luogo e fuori misura. Quel padiglione aveva lo scopo di mantenere salda una comunità, con la sua identità, attraverso un luogo di aggregazione in cui la vita potesse continuare oltre il sisma e si potessero ritrovare le forze per reagire.
Strettamente connesso al concetto di temporaneo c’è quello di reversibilità. Cioè cosa rimane quando, scaduto il termine temporale, viene rimosso il manufatto? Se le tecnologie impiegate per la costruzione sono reversibili e il processo adottato prevede la decostruzione a fine ciclo di vita, allora il luogo in cui temporaneamente è stato installato e utilizzato il manufatto, deve tornare nello stato in cui si trovava prima. E qui, molto spesso, casca l’asino italico! Il nostro bel paese è pieno di manufatti temporanei, tipicamente i dehors delle attività commerciali e della ristorazione, realizzati con tanto di sottoscrizione di atto d’obbligo, per durate definite e convenzionate, che non sono mai più stati rimossi, magari in forza di proroghe e reiterazioni.
Questo rientra tra le cattive prassi ma, venendo all’edilizia in legno, assemblata a secco, sicuramente tra i sistemi costruttivi più reversibili e adatti al “temporaneo”, se questa la si ancora saldamente al suolo mediante una bella platea di cemento armato, ecco che alcuni dubbi sulla sua effettiva reversibilità, giungono più che legittimi! E’ vero che tutto si può fare ma rimuovere una platea di cemento armato e riportare la situazione al terreno vergine preesistente non è uno scherzo e, soprattutto, ha un costo. La mia non è una semplice critica ma un invito a fare ricerca per individuare sistemi che possano risolvere questa criticità, affrancando i sistemi costruttivi in legno da una tara che non meritano.
Il temporaneo sin qui trattato riguarda le situazioni di emergenza ma esistono tante altre situazioni in cui una destinazione d’uso temporanea sarebbe auspicabile. Penso a tutti i contenitori dismessi che si trovano nel tessuto di quasi tutte le città italiane. Quegli edifici a vocazione produttiva, una volta ai margini delle città ma che poi sono stati inglobati in esse dall’espansione urbana e dalle conurbazioni. Luoghi che per logistica, servizi, rumore prodotto, sono diventati incompatibili con il contesto circostante e sono stati abbandonati. Sono i luoghi più interessanti per i progettisti e per gli amministratori pubblici, oltre che per gli imprenditori del mattone, in ottica di rigenerazione urbana. Essendo luoghi che possiamo definire complessi il loro riuso richiede anni, sia per la formulazione di normative urbanistiche specifiche, sia per il coinvolgimento partecipato delle comunità circostanti, sia per la mole degli investimenti economici. Pertanto si convive per anni con aree abbandonate, a volte occupate abusivamente, spesso da bonificare, di cui si riappropria quella natura a cui erano state sottratte, che le ricopre di vegetazione infestante. Ovviamente i manufatti abbandonati sono soggetti a rapido declino e, quando non crollano, giungono ad essere compromessi e destinati alla demolizione per una successiva ricostruzione. Destino che spesso è auspicato dagli investitori e sviluppatori immobiliari che, ovviamente, operano più volentieri e con minori rischi e imprevisti nella nuova costruzione piuttosto che nel recupero del patrimonio edilizio esistente.
Ebbene, in questi casi sarebbe più che mai utile pensare a degli usi temporanei degli spazi, in attesa di concludere il lungo iter della rigenerazione. In tal modo si avrebbero vantaggi che andrebbero dalla migliore conservazione del manufatto stesso, all’approfondita indagine sulle destinazioni future più idonee e più utili per il tessuto sociale, economico e ambientale circostante, fino alla messa a reddito per periodi limitati ma ricavandone risorse per le opere di manutenzione e conservazione nel tempo.
Per fare un esempio fiorentino direi che l’archetipo, lo spazio ideale in cui potrebbe trovare espressione concreta quello che ho appena scritto sarebbe il complesso di Sant’Orsola. Un ex convento, ormai compromesso e stravolto dalle opere strutturali fatte quando si immaginava la sua destinazione a caserma dell’intendenza di Finanza, attualmente abbandonato e inutilizzato, disponibile in vendita da parte della Città Metropolitana che lo ha ereditato dalla Provincia di Firenze, ma che non vede decollare nessuna delle iniziative e dei progetti che lo ha visto come protagonista. Con piccole opere di messa in sicurezza, per garantirne l’agibilità in determinati periodi dell’anno, potrebbe essere il luogo ideale per iniziative culturali, sociali, commerciali da mettere in atto in un quartiere che è a rischio ghettizzazione, nel paradosso tra la rendita turistica del quadrilatero monumentale a pochi metri e la microcriminalità che si annida e prolifera negli angoli bui dell’edificio abbandonato.
Qualche timido avvio di attività temporanee lo si rileva in ambito commerciale, con i temporary shop ma si tratta sempre e comunque di locali esistenti in cui viene allestito qualcosa per un periodo limitato di tempo. Non vi sono esempi di installazioni e realizzazioni che possano caratterizzare il paesaggio urbano, seppur per il tempo limitato previsto. Ancora una volta ci sarebbe grande spazio per la creatività e per la produzione di manufatti di facile e rapido assemblaggio, resistenti agli agenti climatici, count valore estetico tale da renderli compatibili con i contesti urbani, spesso storicizzati, facilmente disassemblabili e reversibili.
Non vorrei scomodare la Tour Eiffel di Parigi, ricordando che si trattava di un manufatto temporaneo (doveva durare il tempo dell’Expo del 1889) e che era previsto che con i suoi pezzi di acciaio sarebbe stata costruita la campata di un ponte, ma certo è che il temporaneo allora aveva una dignità ben più alta dei gazebo in PVC bianco su struttura in tubolari di alluminio, che si vedono nelle nostre città. Sempre per rimanere a Firenze, la sistemazione dei rigattieri una volta in piazza dei Ciompi e ora in Piazza Annigoni.
Concludo queste brevi note invitandovi alla riflessione su quanto argomentato con la convinzione che il temporaneo è sinonimo di contemporaneo ma non di estemporaneo. Intendo dire che anche il temporaneo ha bisogno di una visione globale, in ambito cittadino, e di una strategia attuativa che eviti, ad esempio, i ripensamenti sui dehors fiorentini, dopo aver investito tempi e risorse per stabilire mediante concorso di idee le tipologie su cui uniformare tutti gli interventi.
Insomma, di questi tempi, il temporaneo è sicuramente una delle opzioni su cui lavorare e a cui dedicare un po’ di tempo!
p.s.: e.r.g.o. è l’acronimo del mio nuovo essere digitale e significa egidio raimondi green optimizer… quello che faccio lo spiego nelle sezioni del blog e nei prossimi post!
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