Dopo l’evento del 2 Aprile, il dibattito prosegue direttamente sul fiume tra la gente.
Da qualche tempo faccio parte di un gruppo di lavoro presso il Consiglio Nazionale Architetti PPC, che si riunisce a Roma con cadenza mensile, dedicato ai temi della sostenibilità.
Nell’ambito del vasto argomento della “resilienza delle città ai cambiamenti climatici” ho proposto di approfondire il rapporto dei fiumi con le città che attraversano, partendo dalla considerazione che sono elementi naturali soggetti ai cambiamenti climatici e, al contempo, elementi strutturali per la pianificazione urbanistica, anche nell’ottica della rigenerazione urbana.
Ne è nato un bel dibattito e la creazione di un gruppo di lavoro della Commissione DAS dell’Ordine di Firenze che ha organizzato un interessante e corposo convegno il 2 aprile 2019, dal titolo Fratello Fiume (scarica la locandina), tenutosi in Palazzina Reale in due sessioni, mattina e pomeriggio.
Alla base dei ragionamenti una approfondita ricerca storica sull’evoluzione del rapporto del fiume con la sua città e il contesto soci-economico, attraverso i secoli.
E’ emerso dunque che lo spartiacque, che definisce il cambio di atteggiamento dei fiorentini verso il fiume, non è l’alluvione del ’66 ma lo si può collocare molto tempo prima, al tempo di Firenze Capitale.
Ripercorrendo la storia in sintesi si nota come al tempo della fondazione di Firenze da parte dei romani, la città segue il suo tracciato ortogonale si cardo e decumano ma rimane a distanza di sicurezza dal fiume, che scorre con andamento inclinato rispetto al lato estremo inferiore della città. In questo modo possiamo dire che la città nutre un certo rispetto per il fiume che viene lasciato libero di esondare senza far danno alle cose materiali.
Nel Medioevo e per tutto il Rinascimento il fiume viene inglobato nella città che, espandendosi lo comprende nelle sue cinte murarie, prima restandovi tangente e poi scavalcandolo (ponte Vecchio e Ponte Rubaconte) e integrandolo a pieno titolo come elemento urbano.
In quel tempo si può dire che il fiume costruisce Firenze. E’ infatti infrastruttura di trasporto fluviale attraverso la quale arrivano i marmi dalle Apuane, navigando controcorrente fino al porto del Pignone (in Santa Rosa), discendono i tronchi dal Casentino, trasportati dalla corrente, vi si prelevano pietre e rena direttamente dal greto (i Renaioli).
Possiamo dire che il rapporto è basato su una logica di sfruttamento della risorsa fiume, che vede anche una fiorente attività di pesca che produce pesce da vendere alla loggia del pesce in Piazza della Repubblica (allora Piazza del Mercato). La Loggia del Pesce, oepra del Vasari sarà rimossa in occasione del piano di risanamento del Poggi per Firenze Capitale e tenuta nei magazzini fino ai primi del Novecento quando verrà ricostruita nella sua ubicazione attuale in Piazza de’ Ciompi.
Il fiume brulicava di persone, dai bambini ch ci giocavano, a chi vi faceva il bagno, alle lavandaie, a chi ci lavorava la lana che veniva stesa ad asciugare nel Tiratoio (dove ora è l’edificio della Camera di Commercio).
Molti erano gli opifici con macchine mosse dalla forza motrice del fiume, dalla Zecca, il cui maglio coniava il Fiorino d’oro, alle Mulina che macinavano il grano, in San Niccolò e verso Rovezzano, alle gualchiere di Remole che lavoravano la lana….
Possiamo dire che i fiorentini vivevano intensamente il fiume, indipendentemente dal loro ceto sociale e in assoluta integrazione che, in occasione delle alluvioni, diventava solidarietà che in poco tempo riparava i danni e ripristinava la normalità.
Poi arrivano alcuni cambiamenti epocali.
L’avvento della ferrovia, nei primi anni dell’Ottocento, rende antieconomico il fiume come infrastruttura di trasporto e, di conseguenza, i porti e alcuni opifici perdono importanza e si avviano verso la dismissione.
L’unità d’Italia porta a Firenze, che si prepara a diventare capitale dopo Torino, i Savoia con le idee francesi della grandeure, dei buolevard per il passeggio, degli edifici di rappresentanza del potere. A Firenze fu Giuseppe Poggi a fare ciò che a Parigi aveva fatto il Barone d’Hausmann con i suoi sventramenti.
E allora, oltre all’abbattimento delle mura (si salvano le porte) per creare i viali di circonvallazione, nascono i lungarni e gli edifici, che prima davano le terga al fiume, ora vi girano le loro facciate principali.
La borghesia che passeggia sui boulevard non apprezza il popolo delle lavandaie, dei renaioli, dei bambini schiamazzanti e, progressivamente, queste attività vengono delocalizzate fuori dall’area urbana.
Il focus si sposta dal fiume al lungofiume. L’Arno da scenario diventa scenografia, per i pittori vedutisti allora e per i selfie oggi.
Il fiume si svuota della vita che lo animava e diventa spazio statico da contemplare e immortalare.
Poi, nei primi anni del Novecento, si assiste a una ripresa delle attività sul fiume. Tornano le lavandaie, i bagnanti, un cafè-chantant su un battello ormeggiato al lungarno, attraversamenti su battelli di cui rimane traccia nella toponomastica attuale (la Nave a Rovezzano), attività per pratiare gli sport acquatici direttamente in Arno (la piscina Rari Nantes), la Fabbrica dell’acqua, una struttura demolita alla fine degli anni Cinquanta, che ospitava le pompe per la distribuzione dell’acqua pubblica, azionate prima dalla forza motrice della corrente, poi da caldaie a vapore alimentate da carbone, poi da motori endotermici a gas.
Ed eccoci all’alluvione del ’66 che porta morte e distruzione (ancora si restaurano opere dell’inestimabile patrimonio artistico danneggiate) e una gara di solidarietà che muove tutto il Paese con gli Angeli del Bello.
Da allora si rompe il rapporto dei fiorentini col fiume. Si interrompe un’amicizia durata secoli e si prendono le distanze. Si alzano le spallette e si riducono gli accessi al greto. SI rimane a distanza di sicurezza insomma.
Negli ultimi cinque anni, si nota chiaramente un’inversione di tendenza. La tensione dei fiorentini (intesi non solo come residenti ma come city users) a tornare verso il fiume è forte. Aumentano le attività, prevalentemente estive, per il loisir lungo gli argini, che vengono sistemati e puliti per essere accessibili ai mezzi di soccorso e non solo, dal Consorzio di Bonifica. Vengono rimosse costruzioni precarie e non autorizzate, a distanza inferiore ai 10 m dall’argine, e questo coinvolge anche la storica Rari Nantes, costruita prima della norma!
Si progetta e realizza per lotti la ciclopista dell’Arno, una lunga via ciclopedonale che arriverà fino a Pisa e al mare.
Veongono riesumati vecchi progetti di navigabilità e uso delle banchine lungofiume, di cui il più famoso è il piano Rogers, ormai anacronistico.
Insomma si ricomincia a parlare insistentemente del fiume e del suo rapporto con la città, tanto che l’attuale sindaco lo inserisce tra i punti della sua campagna elettorale.
Tutto questo è stato trattato e approfondito nella giornata del 2 aprile scorso, che si è conclusa con l’intenzione di promuovere occasioni progettuali sul fiume, per ristabilire quel rapporto di “fratellanza” che negli anni era andato scemando. La constatazione che molto è già stato fatto e molti sono già impegnati nel fare piccole azioni locali che basterebbe unire e mettere a sistema, è alla base dei ragionamenti in ottica di azioni di ricucitura e a basso impatto.
A luglio, nell’ambito dell’estate fiorentina, il Comune ha assegnato numerosi lotti di spazio pubblico lungo il fiume, a vari imprenditori dell’intrattenimento e ristorazione che, per aggiudicarseli, hanno dovuto mettere a punto un programma di eventi culturali sul tema dell’Arno.
In uno di questi spazi, il Molo, abbiamo organizzato cinque talk serali in cui abbiamo portato tra la gente i temi trattati nel nostro lavoro di ricerca e fin qui illustrati. Tre incontri sono stati fatti a luglio, con ospiti come il Presidente del Consorzio di Bonifica Marco Bottino, il funzionario architetto dell’Assessorato ai Lavori Pubblici del Comune Giorgio Caselli, l’Assessore alla partecipazione e alla cittadinanza attiva del Comune Alessia Bettini (ex assessore all’ambiente nella scorsa legislatura), l’ingegnere ambientale Maurizio Bacci, il presidente della sezione toscana dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) Francesco Alberti, Cecilia Del Re assessore Urbanistica, ambiente, agricoltura urbana, turismo, fiere e congressi, innovazione tecnologica, sistemi informativi.
I temi: l’Arno come spazio pubblico, come infrastruttura navigabile, come asse ecologico.
A settembre altri due incontri con la teologa Anita Tosi e il Presidente del Consiglio regionale Eugenio Giani, l’assessore all’urbanistica, ambiente e agricoltura urbana Cecilia del Re, l’agronomo ideatore dell’orto bioattivo Andrea Battiata.
I temi: la sacralità del fiume e l’Arno come spazio per l’agricoltura di prossimità.
Il lavoro continua, scorre lento e inesorabile, perché “non ci si bagna mai nella stessa acqua”.